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domenica 28 febbraio 2016

False valutazioni di bilancio, sono reato. Anzi, no!

Avevamo cantato vittoria con troppo entusiasmo (link).

Pensavamo che la Corte di Cassazione avesse esaurito il proprio esercizio interpretativo in tema di false comunicazioni sociali (ex art. 2621 e 2622 cod. civ.) con la Sentenza n. 890 del 12 gennaio 2016 (la c.d. "sentenza Nappi").
Ci sbagliavamo.

Il cuore del pronunciamento della Corte dello scorso gennaio, infatti, andava a riscrivere una precedente decisione, di segno opposto, presa dalla Quinta Sezione Penale con Sentenza n. 33774 del 30 luglio 2015 (la c.d. "sentenza Crespi"), con cui si affermava l'irrilevanza penale della falsificazione delle poste valutative di bilancio.




Come addetti ai lavori ci pareva, infatti, del tutto logico ed evidente considerare gli enunciati valutativi di un bilancio come passibili di essere intaccati da falsità quando violino predeterminati criteri di valutazione, siano questi ultimi definiti da una buona dottrina o siano indicati normativamente o, ancora, siano frutto di un corretto e condivisibile metodo di ragionamento. 

I giuristi della Corte, con la sentenza del gennaio 2016, avevano enunciato un principio del tutto evidente: che "anche gli enunciati valutativi sono idonei ad assolvere ad una funzione informativa e possono quindi dirsi veri o falsi".

Tutto sembrava essere stato chiarito e ricollocato in un contesto di ragionevolezza.
A tutti i forensic accountant di esperienza, infatti, è noto come siano proprio le poste valutative ad essere "utilizzate" dai falsificatori di bilancio per i propri intenti fraudolenti.  

Sorprendentemente però il Supremo Collegio è riuscito a stupire con una nuova Sentenza presa lo scorso 22 febbraio 2016, la n. 6916.

Con  quest'ultimo pronunciamento si è tornati alla casella di partenza, statuendo che il falso nelle poste valutative non è previsto dalle norme sul reato di false comunicazioni sociali in quanto la norma fa riferimento ai soli "fatti materiali" e non alle più generiche informazioni o alle poste valutative.

I Giudici di Legittimità hanno dunque negato un orientamento a nostro avviso assolutamente coerente con la cultura contabile, depotenziando quasi del tutto la norma sulle false comunicazioni sociali, soprattutto se si considera che ormai sono sempre meno e poco significative le voci di bilancio non soggette a qualche forma di valutazione e stima.

Preferiamo non entrare nel merito delle assunzioni con cui la Corte, giustificando il proprio pronunciamento, arriva a considerare addirittura intrinsecamente opposte le nozioni di "fatto materiale" e di "valutazione", come se queste ultime fossero il frutto di mero e immateriale arbitrio e non di scrupolosi quanto di oggettivi e concreti processi di ragionamento logico-matematico. Arrivando al paradosso che se il falso riguarda esclusivamente una posta valutativa, la fattispecie non costituisce reato.

E il paradosso diviene amaramente evidente se si pensa che la quasi totalità delle poste dei bilanci delle società quotate sui mercati regolamentati accessibili a tutti i risparmiatori, sono determinate grazie a metodi di valutazione basati sul "valore equo" o "valore corrente" o "valore di mercato", in altre parole sul concetto di fair value. 

Alla luce di quanto affermato, auspichiamo un quarto - e questa volta definitivo - intervento della Suprema Corte, magari a Sezioni Unite, che sappia nuovamente sorprenderci favorevolmente.


giovedì 18 febbraio 2016

Sottrazioni di cassa? La Cassazione propone una soluzione

La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, nel dicembre 2014, ha emesso una sentenza di fondamentale importanza nella lotta agli illeciti commessi dal lavoratore che non riguardino il mero inadempimento della prestazione, bensì quando incidano sul patrimonio aziendale.

Si tratta della Sentenza n. 25674 emessa il 4 dicembre 2014, che, confermando un orientamento ormai consolidato, ritiene legittimi ed esenti da violazioni dello Statuto dei lavoratori, i controlli del datore di lavoro a mezzo di agenzia investigativa se diretti non a verificare il mero eventuale inadempimento contrattuale del lavoratore, ma illeciti riguardanti il patrimonio aziendale.


Il casus decisus riguardava una cassiera di un supermercato che aveva omesso di registrare la vendita di alcuni prodotti non facendoli passare sullo scanner per la lettura del codice a barre e si era intascata le relative somme.

Il datore di lavoro aveva verificato alcune differenze di magazzino confrontando i codici che si dovevano trovare in giacenza rispetto alle quantità vendute, grazie ad inventari fisici mirati. Si era avvalso pertanto di un'agenzia investigativa specializzata nell'ambito corporate, con lo scopo di documentare gli illeciti del lavoratore. Peraltro l'agenzia investigativa incaricata dal datore di lavoro, aveva accertato che tale comportamento era reiterato anche a distanza di alcuni giorni.

La Cassazione ha dato ragione al datore di lavoro, ritenendo legittimo il licenziamento intimato per giusta causa alla dipendente in seguito alle evidenze raccolte dagli investigatori,  che dimostravano con evidente chiarezza ciò che il datore di lavoro aveva solo sospettato. Un furto di cassa.

Nel caso di specie è stata ritenua non sproporzionata la sanzione del licenziamento per giusta causa, giustificata nella sua gravità dall'accertata reiterazione del fatto e delle funzioni particolarmente delicate e di responsabilità attribuite all'addetta alla cassa: elementi che fanno venir meno il legame fiduciario alla base del rapporto di lavoro subordinato.

Conseguentemente, la Cassazione ha confermato la legittimità del licenziamento sul presupposto che, nel caso in esame, si era "trattato di controlli diretti a verificare eventuali sottrazioni di cassa" e quindi con scopo di salvaguardia del patrimonio aziendale.

Per un approfondimento si veda quanto già pubblicato sul blog con riferimento alla "conta di cassa a rischio di frode".



domenica 7 febbraio 2016

Professionisti e attività antiriciclaggio: gli indicatori di anomalia

Dottori commercialisti, revisori dei conti, consulenti del lavoro, notai, avvocati, periti nelle materie contabili e tributarie ed altre categorie professionali sono chiamati quasi quotidianamente a valutare se una determinata operazione avente natura finanziaria o patrimoniale sia "sospetta" ai fini antiriciclaggio e/o finanziamento al terrorismo.




Il professionista deve cimentarsi pertanto, in una valutazione finalizzata a declinare come sospetta o non sospetta una determinata operazione o attività, in ragione della quale il proprio cliente gli richiede assistenza.

Con l'obiettivo di agevolare il professionista nelle procedure di valutazione del rischio di riciclaggio, il legislatore è intervenuto con il Decreto del Ministero della Giustizia del 16 aprile 2010 (pdf), fornendo una sorta di vademecum basato sugli "indicatori di anomalia", in presenza dei quali segnalare all'autorità preposta (l’Unità di Informazione Finanziaria, "UIF") l'operazione intaccata da profili di sospetto.

Si tratta di uno strumento operativo molto utile, dettagliato per categorie e fattispecie nell'Allegato 1 al Decreto, finalizzato a "ridurre i margini di incertezza connessi con valutazioni soggettive o con comportamenti discrezionali", in modo da rendere corretti e omogenei gli adempimenti antiriciclaggio o di contrasto al finanziamento al terrorismo.

Il legislatore, naturalmente, tiene a precisare nel testo del Decreto, che l'elencazione degli indicatori non è esaustiva in considerazione della continua evoluzione delle modalità di svolgimento di tali operazioni illegali, lasciando al professionista l'autonomia di identificare altri criteri più determinanti allo scopo.

Non è nemmeno corretto, tuttavia, segnalare l'operazione come sospetta solo se questa ricade in uno o più indicatori di anomalia. Infatti, la medesima operazione può essere giudicata come "non sospetta" dal professionista in presenza di ulteriori caratteristiche, comportamenti della clientela o elementi persuasivi in tal senso.

Corrono in aiuto del professionista anche gli Ordini di appartenenza con l'emissione periodica di linee guida aggiornate. Ad esempio, in data 28 luglio 2011 il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili ha emanato le proprie linee guida per l'adeguata verifica della clientela (pdf).

Torneremo a parlare su questo blog degli indicatori di anomalia entrando nel merito dei modelli e degli schemi di comportamento anomali e/o irregolari ai fini della segnalazione di operazioni sospette; per il momento si riportano nel seguito i principali riferimenti normativi con riferimento ad altri operatori economici non professionisti.
  • Decreto del Ministero dell'Interno del 25 settembre 2015 - Determinazione degli indicatori di anomalia al fine di agevolare l'individuazione delle operazioni sospette di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo da parte degli uffici della pubblica amministrazione (GU Serie Generale n.233 del 7-10-2015) (pdf);
  • Banca d'Italia, Delibera n. 61 del 30 gennaio 2013 - Provvedimento recante gli indicatori di anomalia per le società di revisione e revisori legali con incarichi di revisione su enti di interesse pubblico (pdf);
  • Decreto del Ministero dell'Interno del 17 febbraio 2011 - Determinazione degli indicatori di anomalia al fine di agevolare l’individuazione di operazioni sospette di riciclaggio da parte di talune categorie di operatori non finanziari (pdf) e successiva modificazione del 27 aprile 2012 (pdf);
  • Banca d'Italia, Delibera n. 616 del 24 agosto 2010 - Provvedimento recante gli indicatori di anomalia per gli intermediari (pdf).