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domenica 2 agosto 2015

Colletti sporchi e l'esigenza di nuovi modelli teorici

di Stefano Martinazzo*


Ho da sempre considerato di notevole interesse l'approfondimento delle vicende legate ai grandi scandali economico-finanziari accaduti negli ultimi decenni, soprattutto per comprenderne le dinamiche scatenanti. 

Per la professione che svolgo è infatti assai utile analizzare le caratteristiche umane e morali di quei potentissimi manager che con il loro comportamento illecito hanno determinato un grave dissesto, se non il fallimento della loro azienda. 
Le cronache recenti, tanto compiutamente rappresentate sui giornali e nei programmi televisivi, non hanno omesso di delineare con efficacia e assoluta competenza, il profilo psicologico del criminale di turno, mostrandone con particolare enfasi i lati oscuri della personalità. 

Grazie a questi resoconti è emerso che i responsabili delle frodi economico-finanziarie di vaste dimensioni erano usi a vivere da onnipotenti in una sorta di lucente realtà parallela, nella quale erano fatti oggetto di adulazione da parte di eserciti di cortigiani pronti a servirli in tutti i modi. 

Molti di loro sono stati descritti come arroganti e intransigenti o come opportunisti che hanno saputo coltivare esclusivamente il proprio tornaconto, con l'obiettivo di rafforzare allo stesso tempo, la propria gloria e la propria influenza sull'economia, la finanza e la politica. Tutto questo a danno di realtà aziendali un tempo floride e competitive. 
Si tratta di personaggi che la storia ha dimostrato essere ugualmente opachi e geniali, capaci di attuare con freddezza i più raffinati piani criminali muovendosi con naturalezza e disinvoltura nei salotti buoni della finanza. La posizione di privilegio e potere ha, di fatto, garantito loro una qualche protezione dagli "infortuni" giudiziari, ciò comportando un ulteriore deterioramento della fiducia dei cittadini verso le Istituzioni. Sin qui la cronaca di ieri e di oggi. 

Le considerazioni e gli insegnamenti derivanti da queste vicende sono varie, ma una su tutte, a parer mio, è evidente: le sorti dell'economia e quindi del benessere collettivo, sono state per troppi anni lasciate nelle mani di questi top manager, abituati ad affrontare le decisioni strategiche con lo sguardo concentrato più sui propri fringe benefit piuttosto che sulle esigenze di una giustizia sociale. Il lusso, la ricchezza e l'opulenza smisurata vissuta da questi soggetti ha contribuito in modo decisivo ad indebolirli dal punto di vista morale. 

Ed è proprio questo il punto! 

Si tratta di un circolo vizioso che si alimenta attraverso la necessità continua di progredire nel potere e nella ricchezza anche, o soprattutto, facendo ricorso a pratiche disoneste. Una vera sfida intellettuale per gli studiosi che ricercano modelli teorici in grado di decifrare tali comportamenti. 

Per questo motivo, a mio avviso, le teorie più tradizionali sulle frodi aziendali non sono più idonee a comprendere i fenomeni legati al crimine economico. Basti solo pensare che gli studi teorici ancora oggi più citati in letteratura poggiano i loro assiomi sulle osservazioni statistiche condotte a partire dagli anni ’40 del secolo scorso. 
A tal proposito si usano ricordare gli studi empirici sul “white collar crime” condotti da Donald R. Cressey, le cui risultanze sono state pubblicate nel 1973 nel volume “Other People’s Money: A Study in the Social Psychology of Embezzlement”. 

L'approccio scientifico adottato da questi studi si basa soprattutto sulle analisi relative alle condizioni iniziali capaci di trasformare un soggetto onesto in un frodatore seriale. In buona sostanza la frode si realizza, secondo Cressey, quando l’impianto etico del soggetto non è più in grado di inibire le pressioni indotte dalla continua ricerca di appagamento dei bisogni. Conseguentemente, appena individuata un’opportunità, tale soggetto non esiterà a commettere la frode. 

E’ quindi da attribuire ad un fatto esterno all’individuo la causa primaria che determina il conseguente cedimento morale che porta a frodare. In altre parole la ragione del comportamento illecito non è determinata tanto dalla libera iniziativa del soggetto, quanto, al contrario, da una induzione esterna determinata dall’insieme delle condizioni ambientali e sociali. L’archetipo pensato da Cressey è il tipico frodatore degli anni ‘50/’60 del 1900, un individuo piuttosto ingenuo, che agisce da solo, attuando la truffa in maniera quasi improvvisata, mediante l’utilizzo di schemi elementari e ripetitivi.

Si tratta di un soggetto con mansioni che implicano medie responsabilità, considerato affidabile agli occhi dei colleghi. E’ un buon cittadino solitamente abituato a rispettare le Istituzioni ma che si trova, in seguito alle circostanze avverse della vita, a soccombere al desiderio di risolvere le necessità economiche di tutti i giorni attraverso il comportamento illecito. 

Caratteristiche, queste, palesemente differenti da quelle proprie del frodatore moderno. 

Oggigiorno, infatti, sono i più blasonati colletti bianchi ad essere sporchi, non per necessità o per debolezza, ma per lucida e del tutto volontaria ricerca di potere! 

Solo negli ultimi anni e solo in seguito ai colossali scandali economico-finanziario, sono stati condotti studi teorici finalizzati ad aggiornare i modelli di Cressey. 
 Si pensi ad esempio alla “Fraud Scale Theory” introdotta da Steve Albrecht, Keith Howe e Marshall Romney nel testo “Deterring Fraud: The Internal Auditor’s Perspective” pubblicato dall’Istitute of Internal Auditors Research Foundation nel 1984 o alla “Fraud Diamond Theory” presentata da David T. Wolfe e da Dana R. Hermanson nel 2004 sul “The CPA Journal” oppure alle recentissime ricerche condotte dal professor Jason Thomas della West Virginia University il cui esito ha originato il “The MICE Model” (dove “MICE” è acronimo di: Money, Ideology, Coercion e Ego/Entitlement) illustrato nel volume di Mary-Jo Kranacher, Richard A. Riley Jr. e Joseph T. Wells, “Forensic Accounting and Fraud Examination”. 

Ricerche senza dubbio importanti e di frontiera, ma che non esauriscono certamente l’esigenza del Sapere in questo settore. 
A mio avviso infatti, sull'argomento ci sono ancora ampi e formidabili margini di ricerca scientifica, in vari ambiti multidisciplinari quali quello antropologico, sociologico, criminologico, economico-finanziario e giuridico; anche in considerazione del fatto che le pratiche fraudolente si raffinano giorno dopo giorno, mutando continuamente di forma e modalità di esecuzione. 

Inoltre gli schemi di frode saranno facilitati nel futuro dalle tecnologie, e questo rappresenta un terreno lasciato pericolosamente inesplorato. 
Per tutti questi motivi è fondamentale investire risorse adeguate nella ricerca scientifica. La ricerca consentirebbe, senza dubbio, una più incisiva azione di contrasto agli illeciti aziendali, mirata ad intercettare ed interrompere sul nascere eventi riconosciuti come potenzialmente idonei a scatenare il comportamento illecito ovvero ad identificare con rapidità i primi sintomi di una frode già in essere.

*Forensic accountant, Dottore commercialista, Revisore legale dei conti.
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